Tutela dei diritti sindacali del lavoratore nell’azienda
La fonte normativa più importante dopo la Costituzione (art. 39), in materia di libertà sindacale è la legge 20 maggio 1970 n. 300, (c.d. Statuto dei Lavoratori). Questa, recependo i principi fissati dalla Costituzione, non ha regolamentato la liberta’ sindacale, bensi’ l’ha garantita e resa piu’ incisiva all’interno delle unità produttive.
Tutto il I Titolo dello Statuto (articoli da 1 a 13) detta diverse norme in tema di libertà e dignità del lavoratore. Si tratta di disposizioni che “scolpiscono”, al massimo livello, la posizione garantita al lavoratore nello svolgimento del rapporto di lavoro.
In tale ambito, l’attività dell’ufficio si concretizza particolarmente:
* nell’attività di istruttoria dei ricorsi avverso i provvedimenti delle Direzioni Provinciali del Lavoro concernenti l’installazione – per le finalità consentite – di impianti automatici di controllo da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e nella predisposizione delle relative decisioni (art. 4);
* nell’attività di istruttoria dei ricorsi avverso i provvedimenti delle Direzioni Provinciali del Lavoro concernenti l’effettuazione – nei casi consentiti – delle visite personali di controllo sui lavoratori e nella predisposizione delle relative decisioni (art. 6).
Il II Titolo dello Statuto (articoli da 14 a 18) è dedicato più specificamente alla libertà sindacale a livello individuale.
In tale quadro si riconosce al singolo la piena possibilità di attivarsi sindacalmente, ferma l’obbligazione di lavoro (art. 14), mentre è fatto divieto ai datori di lavoro di intervenire nella vicenda sindacale dei lavoratori, creando dei “sindacati di comodo” (art. 17).
E’ fatto, altresì, divieto di trattamenti economici collettivi discriminatori (art. 16) che, in buona sostanza, è un’applicazione del più ampio divieto previsto dall’art. 15. Quest’ultimo pone il principio di non discriminazione per ragioni politiche, religiose, sindacali, di razza, di lingua e di sesso. In qualsiasi provvedimento aziendale, il lavoratore non deve subire pregiudizio in ragione delle situazioni indicate. In particolare, è vietato condizionare l’assunzione all’adesione o meno ad un’organizzazione sindacale.
L’attività amministrativa in tale settore si sostanzia essenzialmente in risposta a quesiti, formulazioni di pareri, risoluzioni di questioni interpretative. La tutela contro la violazione delle predette disposizioni è assicurata invece dall’autorità giudiziaria.
Al riguardo occorre ricordare che l’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori prevede una particolare forma di tutela della libertà sindacale che va sotto il nome di “repressione della condotta antisindacale” e che è stata estesa anche nel settore del pubblico impiego.
L’art. 28 stabilisce che, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il giudice deve istruire e provvedere nel termine (ordinatorio) di due giorni, dopo aver sentito le parti ed assunto “sommarie informazioni”. Il giudice, che abbia ritenuta l’antisindacabilità della condotta, deve – con decreto motivato ed immediatamente esecutivo – ordinarne la cessazione e disporre la rimozione degli effetti già verificatisi.
Avverso il decreto – la cui inosservanza comporta responsabilita’ penale ex art. 650 e p. – è proponibile l’opposizione nel termine di 15 giorni.
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